La mia parte intollerante!

Trovo molto interessante la mia parte intollerante, che mi rende rivoltante tutta questa bella gente! (Cit. Caparezza)

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TAV – I conti non tornano e non da oggi!

Con la sua presa di posizione il senatore Stefano Esposito ci dice che è insensato essere a favore dell’opera a prescindere dal costo che, per le grandi infrastrutture, è sempre destinato a lievitare in misura sensibile. Ecco perché non s’ha da fare!

di Francesco RAMELLA  [Lospiffero.com, 29 ottobre 2014]

Ieri, improvviso  e inaspettato dietrofont del senatore Stefano Esposito, da sempre tra i più strenui sostenitori della TorinoLione. Appresa la notizia di una possibile lievitazione dei costi della tratta transfontaliera della Tav, ha reso noto il suo “non ci sto” (più). Per la verità, l’elemento di novità di questi giorni non è particolarmente eclatante. L’aumento dei costi di cui si parla è infatti, al momento, in larga misura ipotetico. Esso è stato stimato per tenere in considerazione le variazioni di prezzo che interverranno fra il momento dell’approvazione del progetto ed il suo effettivo completamento. Ed il tasso di crescita annuale ipotizzato è superiore al livello attuale di inflazione. Peraltro, l’eventualità che a consuntivo il conto da pagare per la Tav si discosti in misura significativa da quello ipotizzato a preventivo è tutt’altro che remota. Ci sarebbe piuttosto da stupirsi se accadesse l’opposto. Come dimostrato alcuni anni fa da uno studio che prendeva in esame oltre duecentocinquanta grandi opere in tutto il mondo, vi è sempre uno scostamento non piccolo tra le previsioni iniziali ed i costi effettivi. Tale divario si attesta in media intorno al 20% per le strade ed al 45% per le ferrovie. Nel caso della rete alta velocità italiana il divario è stato ancor maggiore: a partire da una stima iniziale di poco superiore ai 15 miliardi, i costi sono cresciuti progressivamente fino a raggiungere i 32 miliardi.

Ma ammettiamo che il nuovo tunnel ferroviario sotto le Alpi si dimostri l’eccezione che conferma la regola e che non vi sia alcuno sforamento; a questa condizione, il senatore Esposito continuerebbe a schierarsi fra i Sì-Tav. E sbaglierebbe. Per valutare l’opportunità di realizzare questa opera, non diversamente da un qualsiasi altro progetto, occorre guardare non solo ai costi ma anche ai benefici. Per una impresa privata il rispetto del budget non è certo condizione sufficiente per valutare la bontà di un investimento. Immaginiamo che un nuovo stabilimento produttivo sia realizzato senza che il costo aumenti di un solo euro ma che  poi le vendite del prodotto realizzato da quella industria siano di gran lunga inferiori a quanto preventivato. Come è evidente, sarebbe stato preferibile che quell’investimento non fosse stato realizzato. E, se guardiamo alla Tav, sappiamo fin da ora che le previsioni di traffico sono del tutto irrealistiche e contraddette dai dati di cui disponiamo. L’analisi costi-benefici governativa del 2011 (significativamente redatta a posteriori rispetto alla decisione di realizzare l’opera) stima che sul versante nord-occidentale delle Alpi i flussi complessivi su strada e ferrovia crescano dai 28,5 milioni di tonnellate registrati nel 2004 ai 97,3 milioni nel 2053 in assenza di progetto (e a 110,6 milioni nel caso l’opera venga realizzata). La stima risulta del tutto inconsistente con l’evoluzione reale dei flussi che negli ultimi dieci anni sono diminuiti di oltre il 20 per cento e si sono attestati nel 2012 a 22,4 milioni di tonnellate a fronte di una capacità complessiva delle infrastrutture esistenti pari a non meno di 100 milioni di tonnellate. La nuova linea porterebbe la capacità ad almeno 140 milioni di tonnellate equivalenti a circa sette volte il traffico attuale. È come se, nel caso di un’autostrada con un traffico in diminuzione da vent’anni e tale da occupare approssimativamente due corsie, si proponesse un ampliamento a quattordici.

 Nessun soggetto privato, a meno di voler condurre la propria impresa al fallimento, insisterebbe a voler realizzare un progetto in presenza di condizioni analoghe.

Per concludere: le dichiarazioni del senatore Esposito mostrano un significativo passo avanti rispetto alla posizione di chi sostiene che l’opera va fatta perché, “è strategica”, perché “ce lo chiede l’Europa”, ecc. Con la sua presa di posizione il senatore ci dice che è insensato essere a favore dell’opera a prescindere dal suo costo. Dovrebbe essere considerazione banale: chi di noi quando effettua un acquisto non si informa preventivamente sul prezzo da pagare? Comunque, meglio arrivarci tardi che mai. Ora ci sentiremmo di suggerigli di fare un passo ulteriore. Guardi anche all’altra faccia della medaglia. E non potrà non convenire con chi, da oltre un decennio, sostiene che l’opera non s’ha da fare.

*Francesco Ramella si è laureato in ingegneria meccanica nel 1996 ed ha conseguito un dottorato di ricerca in Trasporti presso il Politecnico di Torino nel 2001. Libero professionista. Collabora o ha collaborato con Libero Mercato, Il Sole 24 Ore, La Stampa e lavoce.info. Per l’Istituto Bruno Leoni si occupa di questioni legate alla liberalizzazione del settore dei trasporti.

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Regione Piemonte – Sanità: Nuovo direttore e nuova organizzazione periferica!

Nel giorno in cui l’ex numero uno di Agenas viene designato al vertice della macchina di corso Regina, l’assessore Saitta presenta in giunta il nuovo sistema di organizzazione. Piemonte diviso in aree sovrazonali con una azienda capofila.

Nel giorno in cui, dopo settimane di attesa, la Sanità regionale ha il suo nuovo direttore generale, arrivano novità anche sul fronte dell’organizzazione periferica, in particolare sulla gestione della spesa. La giunta che ha indicato nell’ex dg del Santa Croce di Cuneo, nonché già numero uno di Agenas, Fulvio Moirano il successore del dimissionario Sergio Morgagni (come peraltro annunciato dallo Spiffero) ha, infatti, affrontato anche il tema scottante del “dopo federazioni sanitarie”. Morte e sepolte poco dopo esser state partorite dalla mente manageriale dell’allora assessore Paolo Monferino come sistema per ridurre i costi, rivelatosi ben presto fallimentare, la moribonda giunta Cota con il nuovo responsabile della sanità Ugo Cavallera aveva cercato di porre rimedio alla “topica” individuando delle “aree di coordinamento interaziendali” per “la gestione dei servizi amministrativi, tecnici, logistici, informativi, tecnologici e di supporto” .

Un rimedio rimasto, tuttavia, solo sulla carta. Tant’è che questa mattina, il numero uno di corso Regina Antonio Saitta riferendone in giunta ha spiegato come “a parte le censure ministeriali, le proroghe illegittime dei contratti (caso eclatante quello della Asl 1 diretta dalla redordwoman delle proroghe Giovanna Bricarello n.d.r.),  le polemiche politiche, l’aumento di spesa legato alle Federazioni e ai loro organi la parte operativa di quella legge non ha mai avuto attuazione”. Forte anche del fatto di aver risolto la questione del direttore generale, la cui assenza in questo periodo non ha certo agevolato l’attività dell’assessorato, Saitta ha dato l’impressione di voler accelerare sul fronte della gestione e del controllo della spesa. “E’ indispensabile dare corso proprio a quella parte operativa della legge dello scorso novembre per razionalizzare e mettere a sistema prima di tutto il grande capitolo degli acquisti della sanità pubblica”. Per questo dopo aver condiviso stamane con la Giunta (e nei prossimi giorni lo farà anche con la Commissione consiliare appena sarà insediata) la scelta di individuare una sola azienda capofila all’interno di ognuna delle cinque aree per coordinare  tutti gli acquisti, Saitta si confronterà con la commissione presieduta da Domenico Ravetti. Se l’obiettivo prioritario è quello di “risparmiare” come dice l’inquilino di corso Regina, è altrettanto importante “agire con la massima trasparenza nella grande partita di acquisti ed appalti”. Così, annuncia che la Regione Piemonte “vigilerà direttamente in ognuno dei cinque tavoli sovrazonali di coordinamento per verificare che la programmazione di acquisiti centralizzati avvenga nel rispetto delle regole”. Per dare corso alla nuova organizzazione sarà necessario individuare il capofila nell’ambito delle cinque aree, oltre alla Città della Salute, che sono: asl TO1 – TO3 – TO5 – Mauriziano – San Luigi; TO2 – TO4;  VC – NO – BI – VCO – Ospedale maggiore di Novara; CN1 –CN2 – Ospedale S. Croce di Cuneo;  AL – AT – Ospedale SS Antonio e Biagio Alessandria.

Una partita che Saitta giocherà, non senza doversi confrontare con le solite ambizioni e lotte di campanile (motivo in più per chiudere celermente le partita, come parrebbe intenzionato a fare), ma con accanto una figura tecnica e di esperienza come quella del neodirettore Moirano, che a differenza di Monferino è riconosciuto come interlocutore da dirigenti e manager del settore. “Uno che la Sanità piemontese la conosce come pochi altri” è il commento che ricorre tra gli addetti al lavori e negli stessi corridoi al secondo piano di corso Regina dove ci si chiede se ci sarà un passaggio di consegne, seppure tardivo, tra l’ex Morgagni e il suo successore. Pare che nei giorni scorsi Saitta si sia chiesto più volte il perché dal suo insediamento non abbia ricevuto neppure una telefonata dall’ex vertice operativo dell’assessorato, dimessosi senza attendere neppure la nomina del nuovo assessore. Come aveva, invece fatto il direttore dell’allora assessore Eleonora Artesio: con l’arrivo dell’assessore Caterina Ferrero, Vittorio Demicheli era rimasto al suo posto. Fino all’arrivo di Monferino. Già, proprio lui, il padre delle federazioni sanitarie. (s.r.)

[Fonte: Lospiffero.com]

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Regione Piemonte – Anche qua ci vuole un Cetto Laqualunque …

Non inganni la grottesca presenza dei Cetto Laqualunque: è il modus operandi della ‘ndrangheta. Personaggi minori, facilmente condizionabili e manipolabili, per mettere radici sul territorio. Ecco il quadro che emerge dalle 996 pagine dell’operazione San Michele.

Anche qua ci vuole un Cetto Laqualunque… anche noi dobbiamo avere un Cetto moLaqualunque qua”. Non inganni l’espressione, a prima vista grottesca, usata da Giovanni Toro – l’impresario finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel corso dell’operazione “San Michele” – per tracciare l’identikit del politico addomesticato o addomesticabile agli interessi della ‘ndrangheta. Nel Torinese, il personaggio-prototipo dell’amministratore pubblico “prestatosi alla politica per difendere i propri interessi da una inaccettabile ondata di legalità”, così magistralmente interpretato da Antonio Albanese ha il volto e il nome di Mimmo Verduci (foto sotto) consigliere comunale di Grugliasco, eletto tra i Moderati. E l’intraprendenza di Nino Triolo, assessore a Bruzolo, iscritto al Pd, che si dà un gran daffare pur di dare una mano agli “amici degli amici” che l’hanno sostenuto alle elezioni, anche bussando alla porta di un compagno di partito, il vicesindaco di Bussoleno Ivano Fucile, per chiedere conto dell’estromissione da una gara dell’azienda di un suo supporter, l’onnipresente Toro.

A prima vista si tratta di politici di bassa caratura, seconde o terze file, lontane dai grandi centri di potere. Eppure il loro coinvolgimento, sia chiaro senza alcun rilievo penale (almeno per il momento, giacché sono in corso ulteriori indagini), nella penetrazione tentacolare della ‘ndrina di San Mauro Marchesato è la plastica rappresentazione del modus operandi della criminalità organizzata calabrese che nelle fasi iniziali predilige la penombra, le aree apparentemente marginali, laddove il controllo del territorio è più agevole dalla diretta relazione con i decisori. Poi da cosa nasce cosa (nostra), tassello dopo tassello, incontro su incontro, fino a costruire una ragnatela nella quale le attività “storiche” – estorsioni, usura, smercio della droga – si innestano in nuovi e lucrosi impieghi: traffico e smaltimento di rifiuti, edilizia, opere di urbanizzazione, engineering.

I politici sono la porta d’accesso, una delle fonti primarie che alimenta il bissness malavitoso. “Il controllo del territorio esercitato dalla compagine mafiosa insediata a Torino si estrinsecava anche attraverso l’inserimento e la partecipazione alla politica locale attraverso condotte finalizzate a procacciare voti per determinati candidati alle elezioni amministrative del maggio 2012, nell’ottica di una restituzione di favori attraverso l’aggiudicazione di pubblici appalti”. Questo emerge dalla lettura delle 996 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Elisabetta Chinaglia. In particolare la ‘ndrina sanmaurese si è impegnata per fornire appoggio a Verduci, che Toro presenta agli amici come “futuro assessore ai lavori pubblici”, e Triolo, al suo secondo mandato al Comune di Bruzolo in Val di Susa, dipendente Sitalfa (una controllata della Sitaf) e uno dei principali referenti in valle del signore delle tessere del Pd, Salvatore Gallo (che di Sitalfa è presidente). Entrambi originari di Motta San Giovanni, provincia di Reggio Calabria, si adoperano quasi immediatamente per sdebitarsi. Verduci –  “…guarda che diventa assessore questo… eh! grazie a noi!” – non ancora eletto perora l’acquisto di bitume della Toro con i dirigenti della società “Massano group srl”, impegnata in lavori di manutenzione stradale a Grugliasco. Grazie a Triolo “l’amico” Toro ottiene l’appalto per la sistemazione di incroci stradali a Bruzolo, vincendo la gara abbassando l’offerta iniziale: “il ribasso d’asta praticato  pari a poche centinaia di euro – si legge nell’ordinanza -, appare assai singolare. Le affermazioni di Toro, inoltre, consentono di ipotizzare che egli prima di partecipare all’incanto abbia avuto informazioni sulle altrui offerte”. Gli inquirenti formulano la “ricorrenza del reato di cui all’articolo 353 del Codice Penale”, ovvero la turbativa d’asta su cui “è necessario svolgere ulteriori accertamenti che coinvolgeranno inevitabilmente i funzionali del comune”.

Alle amministrative del 6 e 7 maggio 2012 Verduci viene eletto con 121 voti a Grugliasco nei Moderati e nominato vicepresidente della Commissione Ambiente e Pianificazione territoriale, Triolo rimane in Comune a Bruzolo a fare l’assessore. I due il successivo mese di settembre si interessano, sempre su richiesta di Toro, a un’altra gara d’appalto indetta questa volta dal Comune di Bussoleno, alla quale aveva partecipato la Toro: lavori di adeguamento opere di urbanizzazione primaria e riqualificazione degli spazi a uso pubblico della Borgata Argiassera-Richetta. Base d’asta 645.783,43. Ma Toro presenta una documentazione viziata da errori: “Ho inciuccato una cosa”, riferisce ai suoi interlocutori. La Toro nonostante avesse espresso una percentuale di ribasso che avrebbe permesso l’aggiudicazione era stata esclusa per degli errori formali. “Michia mi cadeva a me”, nel senso che spettavano a lui quei lavori. Triolo si impegna a intervenire e lo fa investendo della cosa Ivano Fucile, vicesindaco di Bussoleno, nativo di Cosenza, residente a Bruzolo nello stesso stabile di Triolo. L’appalto viene aggiudicato dalla società Iperenergie di Rivarolo Canavese. A partire dal 9 ottobre 2012 venivano registrate una serie di conversazioni inerenti il tentativo di acquisire dalla indicata formale aggiudicataria della commessa il subappalto delle opere, sempre attraverso l’intermediazione di Verduci e Triolo. Si legge nell’ordinanza: “Allo stato non è dato sapere quali condotte abbia posto in essere Triolo Antonino al fine di favorire Toro Giovanni sia con riferimento all’appalto presso il comune di Bruzolo, sia con riferimento a quello di Bussoleno”.

L’azione è ad ampio raggio e, ovviamente, il boccone più succulento è rappresentato dai lavori per la Tav e l’insediamento in Valsusa sembra propedeutico a questo. “Ce la mangiamo noi questa torta dell’alta velocità”, sentono dire i carabinieri in una conversazione intercettata nel maggio del 2011. I boss, in Calabria, ne parlano almeno in due occasioni nel dicembre dello stesso anno, durante incontri che raccolgono esponenti del clan dei sanmauresi e quelli del locale di Cirò Marina. Il cantiere per il tunnel geognostico alla Maddalena Chiomonte, sgomberato il presidio dei No Tav, è partito da sei mesi, e la ‘ndrangheta non vede l’ora di infilarsi. Italcoge è un’impresa da tempo impegnata nei lavori (l’allora titolare, Ferdinando Lazzaro, è indagato a piede libero per smaltimento illecito di rifiuti) ma fallisce nell’agosto del 2011, e Toro, che sperava nel suo appoggio, si preoccupa: “Bisogna che Chiomonte la prendiamo noi”.

Ma non c’è soltanto la Tav. C’è l’appalto per una galleria dell’autostrada del Frejus e quello per lo sgombero neve della pista dell’aeroporto di Caselle; ci sono le pressioni su un’agenzia di spettacoli per ottenere biglietti da far vendere ai bagarini e aiutare con il ricavato i detenuti. Ci sono i maneggi, le intimidazioni, le millanterie: i malavitosi esitano a infastidire un certo personaggio perché lo ritengono in contatto con il numero due del Csm, Michele Vietti, spuntano contatti (veri o presunti tali) con l’ ex consigliere regionale Udc Alberto Goffi. Il tutto accompagnato dal tradizionale sottofondo mafioso. Uno degli indagati, nel lamentarsi di una causa giudiziaria che non va come previsto, la mette giù così: “Le cose ce le risolviamo noi, da soli. Il sistema antico dei nostri paesani funziona sempre”.

L’inchiesta, affidata ai pm Roberto Sparagna e Antonio Smeriglio, mette in luce un’intesa criminale tra la ‘ndrina distaccata di San Mauro Marchesato e il “locale” di Volpiano, una delle strutture territoriali scoperte dalla maxi inchiesta Minotauro. Tra le ingenti commesse ottenute dalla cosca ‘ndranghetista sgominata dai carabinieri del Ros ci sono anche il subappalto per i lavori di ristrutturazione della galleria Prapontin, sull’autostrada A32 Torino-Bardonecchia, le opere di pulizia e sgombero neve della stessa arteria autostradale e dell’aeroporto di Caselle Torinese. Secondo quanto si apprende, il sodalizio mafioso era attivo in diversi settori imprenditoriali, tra cui la gestione di attività commerciali e della distribuzione alimentare, di lavori pubblici e privati, di gestione di servizi per Amministrazioni pubbliche e società private, tra i quali appunto la manutenzione stradale e lo smaltimento dei rifiuti.

Al centro dell’indagine c’è Angelo Greco, considerato il capo cosca, residente a Venaria, emigrato da poco dalla Calabria. Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo di società e beni per un valore complessivo di 15 milioni di euro. Sotto sequestro anche una cava a Chiusa San Michele, dove dovevano essere conferiti i rifiuti senza essere trattati preventivamente. Tra i beni sequestrati anche uno yacht ormeggiato nel porto di Savona e di proprietà di Donato Vincenzo, 48 anni, imprenditore edile residente a Caluso finito in carcere. A lui sono stati sequestrati anche 145 immobili e conti correnti. Tra gli arrestati c’è un investigatore privato che forniva i suoi servizi di informazione alla cosca e un intermediario immobiliare. Indagati, invece, un sottufficiale in servizio presso la caserma dei carabinieri di Beinasco e un vigile urbano in servizio presso la Procura di Torino. Entrambi avrebbero avuto accesso abusivo al sistema informatico delle forze di polizia.

“Spero che l’importante operazione di contrasto alla criminalità organizzata possa servire a tranquillizzare a 360 gradi la cittadinanza sul fatto che l’attenzione della magistratura e delle forze dell’ordine su questo tema è rivolta a tutto campo”. Il colonnello Roberto Massi, comandante provinciale dei carabinieri di Torino, ha commentato così l’operazione durante la conferenza stampa, ieri mattina, presso il Comando Provinciale dei Carabinieri. “Chiaramente – ha aggiunto – non ci si ferma ai risultati raggiunti, ma si opera nella convinzione che questa azione debba essere continuata”. E si annunciano importanti sviluppi, a partire dalla zona di Leini, nelle prossime settimane. Non è finita. Anzi, è appena cominciata. [Fonte: Lospiffero.com]

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Regione Piemonte – Sanità: Giro di vite del nuovo assessore Antonio Saitta!

L’assessore Antonio Saitta convoca per venerdì prossimo i direttori di Asl e Aso del Piemonte per illustrare il “nuovo corso”, passo preliminare alla definizione dei nuovi assetti. Cartellino giallo all’Asl di Alessandria. Pausa di riflessione sulla dose unica del farmaco.

E venerdì tutti chez Saitta. L’invito, non si sa con quanto entusiasmo ricevuto, è di quelli che non si possono rifiutare. L’assessore alla Sanità ha convocato in corso Regina i direttori generali delle aziende sanitarie locali e ospedaliere del Piemonte per quello che potrebbe essere un primo incontro con il management territoriale nominato dalla precedente amministrazione regionale, ma che ha tutta l’aria di trasformarsi subito nell’occasione per Antonio Saitta di avere un quadro della situazione generale. E, ancor più, chiarire ai diretti interessati il nuovo corso della Sanità in Piemonte.  Quello, per  fare un esempio, che ha visto lo stesso Saitta, nella prima riunione della giunta Chiamparino dedicata proprio ai temi sanitari, sospendere con effetto immediato l’attuazione della delibera del 12 maggio scorso dell’esecutivo di Roberto Cota (con Ugo Cavallera alla Sanità) con la quale era stata ridefinita la rete ospedaliera piemontese per quanto riguarda i posti letto per le acuzie e le post acuzie che avrebbe comportato una pesante riduzione di 707 posti rispetto alla situazione attuale. «La sospensione della delibera è doverosa – aveva spiegato – per dare modo di effettuare uno studio approfondito dei criteri che starebbero alla base di quel provvedimento, ma anche per avere da parte della Regione un necessario confronto con le aziende sanitarie». Ovvio, quindi che nell’incontro di venerdì si parlerà anche se soprattutto di questo.

Alla fine, quando i manager lasceranno il salone di corso Regina, due di loro invece rimarranno lì. Già, perché l’ex inquilino di Palazzo Cisterna trasferitosi nel palazzone non lontano dal Rondò della Forca vuole risolvere senza ulteriori rinvii la questione dell’oncologia alessandrina. Per questo l’appendice all’incontro con tutti i numero uno delle aziende, vedrà seduti attorno a un tavolo oltre al padrone di casa anche il direttore generale dell’Asl di Alessandria Paolo Marforio, quello dell’azienda ospedaliera del capoluogo “S.S. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo” Nicola Giorgione e il direttore della Rete oncologica Oscar Bertetto. L’intenzione di Saitta è quella di alzarsi da quel tavolo con una soluzione che sia la migliore in fatto di garanzia per i pazienti, di economicità e soprattutto che sia condivisa. Ed eviti corse in avanti o di lato da parte delle aziende sanitarie che hanno, comunque, nella Rete diretta da Bertetto un riferimento di cui tenere conto. Se questo non è sempre accaduto fino a ieri – è il senso del ragionamento che fa l’assessore –  da oggi si cambia.

Per la Sanità mandrogna oggi è stata una giornata nient’affatto facile. Se di prima mattina Marforio con il direttore sanitario Francesco Ricagni ha incontrato la rappresentanza dei sindaci del territorio che hanno, di fatto, ribadito la necessità di tenere conto delle indicazioni della rete oncologica, e annunciato di voler riportare alla politica le scelte in tema sanitario fornendo quindi un atout a Saitta, ben più pesante per il direttore generale l’appuntamento che lo attendeva  poche ore più tardi a Torino. Tra elencazioni di lavori fatti con risultati ottenuti e arrampicate sugli specchi sulla questione dei laboratori antitumorali fuorilegge sequestrati dai Nas, Marforio è uscito dal lungo incontro con Saitta con le parole dell’assessore quasi fossero la Z di Zorro sui calzoni del sergente Garcia: «Ho ribadito al dottor Marforio –  dirà più tardi Saitta – la centralità del ruolo di coordinamento delle rete oncologica piemontese guidata dal dottor Oscar Bertetto, che aveva da molto tempo fornito indicazioni diverse da quanto poi si è verificato ad Alessandria».  In soldoni: avete fatto di testa vostra, ma adesso si cambia. E cambierà, inevitabilmente, pure altro: come la delibera “a insaputa” dell’assessore così come di Bertetto, per non dire dei sindaci. Quella che firmata da Marforio il 29 maggio, con l’assessorato in sede vacante, dava il via a una gara per l’acquisto del sistema necessario a preparare i farmaci antiblastici a Tortona. Il destino di questo atto e la gara che i vertici dell’Asl avevano già preparato con tanto di capitolato e durata fissata in nove anni, sembra segnato. Mentre non si sa se davvero qualche oncologo finirà di fronte al consiglio di disciplina per aver, in sostanza, detto quel che Marforio si è sentito dire stamane dall’assessore regionale circa il mancato rispetto delle indicazione della Rete oncologica, per il manager mandrogno e il suo staff la questione non si chiude qui.

L’altra grana messa sul tavolo da Saitta, nell’incontro di questa mattina, riguarda la dose unica del farmaco. Più di due milioni all’anno, per dieci anni: tanto costa il sistema di spacchettamento e confezionamento con successiva distribuzione automatizzata affidato dalla Asl AL  alla Ingegneria Biomedica Santa Lucia di Piacenza. La dirigenza aziendale ha sempre sostenuto il risparmio prodotto da questo sistema vantando pure un premio ricevuto recentemente. Di ben altro avviso l’allora assessore regionale Eleonora Artesio che bocciò la richiesta dell’azienda, passata con l’avvento della giunta Cota, l’assessorato a Caterina Ferrero e la direzione al suo futuro successore Paolo Monferino. Come non hanno seguito le indicazioni delle Rete oncologica per la centralizzazione dei laboratori, così i vertici alessandrini non hanno tenuto conto dello studio sulla dose unica del farmaco realizzato nel 2009 dal Politecnico di Torino (Simona Iaropoli, Carlo Rafele e Elio Sgherzi) e dall’Asl di Asti (Lidia Beccuti, Claudio Ivaldi e Valter Galante, attuale direttore generale dell’Asl astigiana ed ex regionale alla Sanità). “Sulla base dei dati e delle informazioni raccolte ed elaborate, non vi sono evidenze economiche della convenienza nell’utilizzo della dose unica”: questo il risultato della ricerca. Che se snobbata ad Alessandria, è tornata all’attenzione a Torino. Tant’è che nel memorandum affidato da Saitta a Marforio si legge pure questo: «Indispensabile un pausa di riflessione in attesa di verifiche sui reali risparmi che l’attuale gestione della distribuzione dei farmaci comporta o meno». Ennesima traduzione: andate con i piedi di piombo, anzi state fermi su questo argomento fino a quando non si è chiarito come stanno davvero le cose.

Altro che premio. Sulla vicenda, che poi è una roba da più di venti milioni di euro mica bruscolini, Saitta  vuole vederci chiaro e non solo in riva al Tanaro. «Sulla dose unica del farmaco esiste una commissione regionale istituita da tempo e mai fino ad ora convocata – spiega l’assessore – alla quale ho già chiesto di valutare il caso Alessandria». Un caso sul quale Saitta pare avere le idee chiare: «Si tratta dell’unico in regione e non intendiamo estendere questo sistema come sperimentazione ad altre Asl fino a quando non sarà dimostrata con certezza una reale convenienza». Insomma, se non è un’altra stroncatura di ciò che l’Asl alessandrina ha fatto di testa sua e a insaputa di altri poco ci manca. Altro, invece, secondo quanto risulta allo Spiffero, sarebbe mancato ad alcuni uffici del’assessorato per stabilire se il sistema dai costi milionari adottato ad Alessandria generi quegli annunciati risparmi: sembra che una serie di dati richiesti dall’assessorato tempo fa in merito al lavoro di Mario e Sofia dall’Asl mandrogna non siano mai arrivati. (s.r.)

[Fonte: Lospiffero.com]

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#FIAT – Mar”p”ionne dimostra che anche dei #sindacati firmatari non gli frega nulla!!!

Fiat apre nella City chiude al sindacato!

Il Lingotto prende casa a Londra dove collocherà la sede fiscale del gruppo Fca. In tutto saranno circa una cinquantina di dirigenti a trasferirsi all’ombra del Big Ben. In stallo le trattative per il rinnovo del contratto: Marchionne non vuole sganciare un euro.

Entro l’anno aprirà a Londra la sede fiscale della Fiat Chrysler Automobiles. Ma non sarà, almeno per il momento il quartier generale del gruppo FCA: vi lavoreranno non più cinquanta persone. Lo scrive Automotive News Europe in base alle indiscrezioni raccolte da manager della casa. Nei locali collocati nei paraggi della City ci sarà l’ufficio del presidente John Elkann e dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, oltre (ma la cosa non sarebbe ancora stata decisa definitivamente) a quello del direttore finanziario del gruppo, Richard Palmer. In generale tutti gli uffici a vocazione finanziaria.

Una sistemazione tutto sommato minimalista, rispetto a un colosso automobilistico di dimensioni mondiali da 86 miliardi di fatturato, una scelta fatta apposta per non dare troppo nell’occhio, giacché il domicilio londinese ha fatto storcere il naso a molti sia in Italia che in America. Da un lato ci sono i vantaggi fiscali per le imposte gravanti sulla società (35% negli Usa, 31,5% in Italia e 20% in Gran Bretagna), dall’altro la storia secolare della Fiat a Torino e novantennale della Chrysler a Detroit. E più ancora il fatto che la Chrysler è uscita dalla bancarotta con un corposo aiuto pubblico, sostenuto ovviamente dal contribuente americano. Automotive News ricorda che di là dell’Atlantico l’argomento della “migrazione” di società è tema d’attualità: al Congresso di Washington è stata presentata una proposta di modifica della normativa che regola la materia. L’obiettivo è di rendere più difficile portare all’estero la sede delle società e quindi eludere il fisco. L’iniziativa è nata perché recentemente una dozzina di grandi società ha compiuto questa scelta.

Comunque a Torino (con puntate in Olanda) restano le sedi della catena di comando e controllo di Fca: la Exor e la Giovanni Agnelli & C sapaz. Secondo gli osservatori il nuovo profilo del gruppo non poteva che trovare accampamento laddove si respira l’aria finanziaria mondiale, “perché nella City il denaro è uno dei simboli, al pari dei bus rossi a due piani e dei Cab neri, come in nessun Paese al mondo”; così come il Nyse (New York Stock Exchange) dove da ottobre sarà quotata Fca è di gran lunga la Borsa Valori più importante al mondo. “Cioè, FCA fa in definitiva e senza tentennamenti esattamente quello che una vera multinazionale avrebbe dovuto fare”.

Intanto, è ripreso, all’Unione Industriale di Torino, il confronto sul rinnovo del contratto degli oltre 80mila lavoratori di Fiat e Cnh. Il negoziato, che si è arenato sulla parte salariale, è interrotto dal primo aprile. I sindacati sono sul piede di guerra. “Se non ci saranno aperture sul salario da parte dell’azienda metteremo in campo iniziative di lotta. Cercheremo fino all’ultimo di evitarlo, ma non abbiamo finora segnali postivi”, dichiarano i segretari nazionali di Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri.Come noto, l’anno scorso la Fiat ha chiesto e ottenuto dai sindacati di poter rinnovare la parte economica del contratto solo per un anno a causa dei cattivi risultati di bilancio e perché l’azienda era concentrata in altre trattative, quelle con il sindacato americano dei metalmeccanici Uaw per l’acquisto della quota restante della Chrysler, finalizzato a gennaio 2014. Per questo motivo la parte economica è stata rinnovata solo per un anno con un aumento sui minimi di 40 euro più 120 euro come premio di produzione legato alle presenza in azienda.

Ma sugli aumenti la Fiat non è disposta a concedere nulla per quest’anno e, a quanto circola in ambienti sindacali, lo stop sarebbe venuto direttamente da Marchionne in persona. Il motivo è molto semplice: la Fiat (esclusa Chrysler) ha accumulato in 3 anni perdite per 2,1 miliardi delle quali 911 milioni solo nel 2013, a fronte di una Chrysler che, da sola, ha guadagnato lo scorso anno 1,8 miliardi di euro. Quindi è è impossibile, secondo Marchionne, concedere gli aumenti chiesti dai sindacati per il 2014 anche se peserebbero appena per 48 milioni di euro sui conti. Ultimo tasto dolente è la posizione della Fiom. Da quando sono riprese le trattative gli incontri sindacati-azienda sono stati circa 15 ma i rappresentanti della Fiom hanno presenziato a non più di 3 senza presentare una propria piattaforma di rivendicazione salariale. Solo nelle ultime settimane la Fiom ha formulato la propria richiesta: 50 euro, simile all’incremento ottenuto dagli altri sindacati nel 2013 e ritenuto proprio dal leader Maurizio Landini troppo esiguo. Pare non ci sia alcuna intenzione da parte della Fiom-Cgil di firmare, nemmeno se soddisfacesse (cosa assai improbabile) le richieste economiche avanzate da lei stessa. Il motivo è semplice: la Fiat chiede che ogni sindacato firmi sia l’accordo sulla parte economica sia quello sulla parte normativa. Quest’ultima contiene (come conteneva anche precedentemente) il diritto di “esigibilità” delle norme da parte dell’azienda come, ad esempio, l’obbligatorietà degli straordinari, in particolari periodi dell’anno e il divieto di proclamare scioperi durante questi straordinari e il dovere di avviare una mediazione con l’azienda prima di proclamare qualsiasi sciopero. La Fiom preferisce avere mani libere e quindi difficilmente accetterà l’intesa.

[Fonte: Lospiffero.com]

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Regione Piemonte – Sanità: Dose unica del farmaco, utilità “supposta” o “supposta” per le casse pubbliche?

Si chiama “Dose unica del farmaco” la soluzione per contenere in parte la spesa sanitaria? Da alcuni studi non risulta, ma la Regione fa partire la sperimentazione con un bando da 23 milioni di euro in 9 anni presso l’ASL di Alessandria. Che la “supposta” utilità non sia di altro genere per le casse pubbliche? (Note del blogger)

Da “LoSpiffero.com” di venerdì 9 maggio 2014.

Dose unica del farmaco: utilità supposta!

Per alcuni è la chiave per contenere la spesa farmaceutica, ma sui reali risparmi non tutti sono d’accordo. Dopo la fase pilota è partita la corsa tra le aziende sanitarie anche perché il piatto dei bandi è piuttosto succulento. A chi fa gola? Perché tanta fretta?

Perché tanta fretta? Mentre in piazza Castello la fase di passaggio ha limitato ogni attività alla sfera dell’indifferibile e urgente, c’è un settore della Sanità che continua a correre. Sono le procedure legate alla sperimentazione della cosiddetta dose unica del farmaco: il prodotto viene acquistato, spacchettato, inserito in contenitori monodose e somministrato. Il progetto prevede, inoltre, l’adozione di un sistema informatizzato per la prescrizione e somministrazione dei fermaci, mentre il confezionamento avviene in uno stabilimento che, nel caso dell’Asl di Alessandria, la prima a procedere con la sperimentazione, non è di proprietà. A chiedere lumi sull’intenzione di adottare questo specifico procedimento anche di altre Asl e Aso piemontesi è Eleonora Artesio, capogruppo della Federazione della Sinistra in Regione Piemonte, ma soprattutto assessore alla Sanità nella Giunta di Mercedes Bresso, quando al crepuscolo del suo mandato (era il 2009) decise di bocciare quella proposta già pervenuta sulla sua scrivania. Il motivo? «Il progetto della Asl di Alessandria era stato oggetto di uno studio di fattibilità commissionato all’Aress e realizzato nell’Asl di Asti con la collaborazione del Politecnico di Torino» ricostruisce l’Artesio. Ma i risultati dello studio non fugarono tutti i dubbi sull’effettiva convenienza dell’operazione, anzi la relazione concludeva così: «Sulla base dei dati e delle informazioni raccolte ed elaborate non vi sono evidenze economiche sulla convenienza nell’utilizzo della dose unitaria e/o personalizzata». Di qui la decisione di sospendere tutto.

Con la giunta di Roberto Cota, però, la questione torna in auge. Ad Alessandria si procede a tappe forzate con la sperimentazione e si dà il via a una gara da 23 milioni di euro per un progetto di 9 anni. Il servizio viene affidato a una società privata con sede nel Piacentino, Ingegneria Biomedica Santa Lucia Spa. Alla nuova amministrazione erano bastati i dati effettuati su un periodo relativamente breve (4 mesi) in un ospedale relativamente piccolo, quello di Tortona. Dati certamente soddisfacenti, quelli descritti nel Piano operativo, nei quali si indica una riduzione nell’acquisto delle scorte del 21% e una riduzione dei consumi del 15% per quanto riguarda i pezzi e del 36% sul valore delle forniture. Ma saranno elementi esaustivi dal momento che fanno riferimento a un campione di consumi farmaceutici pari a 100 mila euro, rispetto ai 10 milioni di euro complessivamente interessati per l’Asl di Alessandria? Secondo Artesio, inoltre, «i risparmi evidenziati non sono stati depurati dal concomitante effetto esercitato dalla variazione dei prezzi di vendita (ridottisi per via del massiccio uso di farmaci generici) e delle modificazioni delle attività dei reparti (nel frattempo ridottasi a causa della riorganizzazione subita dall’ospedale di Tortona insieme a quello di Novi Ligure)». Insomma, che non siano state altre le cause di cotanti lusinghieri risultati ottenuti durante la sperimentazione? Secondo la Regione, no. Tant’è che il Piano operativo prevede l’estensione della sperimentazione anche ad Asti e alle Asl To4 e To5.

Sulla vicenda l’ex assessore alla Sanità ha presentato anche un’interrogazione, il 17 marzo scorso, mai discussa per via della caduta anticipata della giunta Cota. Appena quattro giorni dopo averla protocollata, il direttore generale di corso Regina Margherita Sergio Morgagni riceve la richiesta di procedere con la sperimentazione anche dall’Asl To3, la più grande del Piemonte, e dopo appena 72 ore invia una nota per dare il suo placet. L’argomento sarà al centro dell’assemblea convocata da Morgagni con i direttori delle Asr piemontesi: che sia pronto a imprimere un’ulteriore accelerazione al progetto? A chi fa gola quello che si preannuncia essere un piatto particolarmente succulento? E, soprattutto, con una Regione in fase di trapasso è opportuna tanta fretta?

[Fonte: Lospiffero.com]

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PD Piemontese: Il PD cambia verso: vero! Torna indietro di 30 anni!

Il PD Piemontese “cambia verso“. Il rottamatore Matteo Renzi permette che in Piemonte ritornino in auge personaggi che furono in parte protagonisti di tangentopoli riportandolo indietro di 30 anni. E’ questo il nuovo corso di Matteo Renzi?

Da Lospiffero

Nella direzione regionale di giovedì verrà formalizzata la nomina di Quagliotti vice segretario. L’eminenza grigiastra del sindaco è il garante del patto tra l’area fassiniana e Gariglio. Conticelli verso un posto nel listino. Ecco la rottamazione in salsa subalpina.

E’ stato il garante dell’asse tra Piero Fassino e Davide Gariglio. Giancarlo Quagliotti, ormai per tutti l’eminenza grigiastra della politica subalpina, è legato all’attuale sindaco di Torino sin dai tempi in cui il Lungo guidava la Federazione torinese del Pci e il compagno Giancarlo dirigeva la guardia rossa in Comune. Per questo la sua nomina a vice segretario del Pd regionale, che verrà formalizzata durante la Direzione di giovedì, rappresenta il sigillo di un patto che finora ha retto e nel quale c’è chi già individua possibili sbocchi, a partire da quando si concluderà il primo mandato di Fassino in via Milano. Certo, che Quagliotti, classe 1942, coinvolto nello scandalo tangenti sia nel 1983 che nel 1993 quando fu condannato per le mazzette che la Fiat pagava al Pds, diventi il numero due del partito in nome di quel rinnovamento propinato a ogni piè spinto da Matteo Renzi è davvero stridente, ma dopotutto che c’è da stupirsi in una regione in cui i protagonisti del nuovo corso sono Sergio Chiamparino, Mercedes Bresso e, appunto, Fassino? A furia di cambiar verso si torna indietro di trent’anni.

La sua carriera inizia alla Olivetti prima di diventare – nel 1963 – un funzionario del Pci di Torino. Dal 1970 al 1983 siede in Sala Rossa dove ricopre sotto le insegne di falce e martello anche l’incarico di capogruppo. E proprio nel 1983 la magistratura inizia per la prima volta a occuparsi di lui, giacché fu coinvolto negli scandali tangentizi del “caso Zampini” e dei “semafori intelligenti” (dai quali fu prosciolto). Nel 1993 fu di nuovo indagato per una tangente di 260 milioni di lire dalla Fiat al Pds (i rapporti tra il Lingotto e il partito dei lavoratori a Torino sono sempre stati ottimi). Questa volta fu condannato a 6 mesi assieme al suo sodale Primo Greganti per finanziamento illecito. La mazzetta riguardava l’appalto per il depuratore del consorzio Po-Sangone. Quando nel 2011 Fassino decide di candidarsi alle primarie per ascendere al piano nobile di Palazzo Civico sceglie proprio Quagliotti come coordinatore politico della sua campagna elettorale, lui intanto finisce nella segreteria del partito provinciale allora guidato da Paola Bragantini, con la quale instaura un ottimo rapporto.

Da sempre legato a Sitaf è stato più volte accusato di aver costituito, assieme a Salvatore Gallo – il patriarca della famiglia socialista che ha piazzato il figlio Stefano nall’assessorato allo Sport di Palazzo Civico e ora sta tentando di far eleggere il secondogenito Raffaele a Palazzo Lascaris – la corrente autostradale del Pd torinese, quella che, secondo i detrattori, gioca di sponda con i No Tav per proseguire indisturbati i lavori al Traforo del Frejus. Il suo incarico formale è quello di presidente della Musinet Engineering, società della galassia Sitaf,della quale amministratore delegato è Mario Virano, ex dirigente di Pci e Pds, che tra gli innumerevoli incarichi ha anche quello di capo dell’Osservatorio sul Tav, mentre il vice presidente è quell’Ignazio Moncada, definito da molti il pontiere tra servizi segreti e grandi affari.

La nomina in segreteria di Quagliotti, nelle settimane scorse, già provocò uno scossone all’interno della variegata compagine fassiniana, con l’assessore torinese Stefano Lo Russo e il consigliere regionale del tosaerba Andrea Stara che lo avrebbero accusato di aver trattato per sé più che per la corrente. Ma a ogni incomprensione, in politica, c’è modo di chiarirsi e forse per questo nelle ultime ore si stanno facendo sempre più insistenti le voci che danno l’attuale presidente della Circoscrizione VI, Nadia Conticelli, già collaboratrice di Stara a Palazzo Lascaris, come esponente in gonnella del Pd all’interno del listino di Chiamparino. Al fianco di Quagliotti, nell’incarico di vice segretaria, anche Gianna Pentenero, candidata alle primarie scorse contro Gariglio, entrata in segreteria in rappresentanza della minoranza.

[Fonte: Lospiffero]

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Regione Piemonte – Sanità: cure domiciliari ai non autosufficienti scaricate sulle famiglie!

Cure domiciliari: giunta somersa dai ricorsi. Comuni e consorzi si rivolgono al Tar per garantire le cure domiciliari ai non autosufficienti. I giudici amministrativi si sono già espressi sulle tariffe delle case di riposo, ma la Regione attende il Consiglio di Stato. Laus (Pd): “Scaricano tutto sui malati”.

Ormai è come sparare sulla Croce Rossa. Si accavallano i ricorsi sulla moribonda Giunta regionale, già capitolata sotto i colpi delle carte bollate. Gli ultimi in ordine di tempo sono quelli appena inoltrati delle associazioni che tutelano i malati non autosufficienti che rientrano nei diritti sanciti dai Lea – Livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria – per cui la Regione ha tagliato le risorse. Al loro fianco 14 comuni, tra cui quello di Torino, e 18 consorzi erogatori dei servizi. Un ricorso in cui si intende tutelare l’accesso alle prestazioni socio-sanitarie domiciliari per non autosufficienti.

Funziona così: quando una persona viene dichiarata non più autosufficiente, viene presa in carico dal Servizio sanitario pubblico o attraverso un posto in casa di riposo o attraverso un contributo alle famiglie che decidono di prendersi cura del parente malato da casa. L’oggetto del ricorso è il non riconoscimento di questo tipo di cura all’interno dei Lea, servizi minimi essenziali che la regione deve riconoscere. Per quanto riguarda le cure in casa di riposo il Tar del Piemonte si è già espresso con sentenza numero 199/2014, specificando che le esigenze di contenimento della spesa pubblica non possono andare «in danno del diritto dei cittadini» di godere di un livello essenziale di assistenza, rappresentato appunto da quei servizi riconosciuti all’interno dei Lea. Ora la stessa battaglia verrà condotta sulle cure domiciliari.

Secondo i ricorrenti, infatti, i provvedimenti della Regione Piemonte spostano queste prestazioni di lungoassistenza terapeutica domiciliare – escluso l’intervento dell’Oss – al di fuori di quelle garantite per diritto e quindi finanziate dalla Sanità. E non è una questione certo marginale se si pensa che parliamo di assegni di cura che il Piemonte eroga a 13mila persone non autosufficienti come rimborso spese per l’assistenza domiciliare. Con la «riclassificazione degli interventi domiciliari in lungoassistenza come “extra Lea” – scrivono anche i legali del Comune di Torino – sostanzialmente trasferisce la “garanzia” di tali prestazioni ai Comuni» e quindi al settore dell’assistenza, i cui interventi sono erogati in base a criteri di beneficenza e vincolati alla disponibilità di risorse.

Non è tutto, come sottolinea il consigliere Pd Mauro Laus, il problema è che la Regione finora ha deciso di non applicare neanche le sentenze del Tar già emesse, in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato cui si è rivolta, «scaricando il problema sulle imprese e sui ricoverati» attacca Laus. Dopo la prima sentenza del Tar i direttori di Asl e Aso hanno interpellato l’assessorato regionale per chiedere lumi su come regolarsi di fronte a un pronunciamento vincolante, da corso Regina Margherita si fa presente che sulla questione a oggi «non risulta nessun atto normativo regionale valido» essendo stati tutti annullati dai giudici amministrativi, dunque «le tariffe […] risultano quelle in applicazione dei contratti stipulati tra le Asl, gli Enti Gestori delle funzioni socio-assistenziali ed i gestori delle strutture, contratti che costituiscono l’unica “fonte normativa” che regola le obbligazioni in essere». E ancora: «In questa fase transitoria i fornitori delle prestazioni potranno decidere se accettare le tariffe, riferite alla D.G.R. 85-6287/2013 annullata, contenute nei contratti stipulati per l’anno 2014, o se recedere unilateralmente».

Ma Laus non ci sta: «L’assessorato pretenderebbe che si applicassero le nuove tariffe, sorvolando sull’immediata esecutività delle sentenze amministrative di primo grado. In alternativa, propone che le Asl revochino le convenzioni ai gestori non allineati, costringendo i degenti a trasferirsi altrove. Sono quasi tre mesi che la giunta è a conoscenza del problema conseguente alle sentenze del Tar sulle rette di ricovero in strutture per anziani non autosufficienti, ma ha preferito fare il pesce in barile, proseguendo la guerra delle carte bollate invece di convocare le parti coinvolte per risolvere la questione. A pagare l’ignavia politica di questo governo saranno di nuovo operatori e cittadini, entrambi costretti a scegliere tra il male e il peggio in attesa che l’amministrazione ponga rimedio al vuoto normativo».

Sul tema interviene con una nota ufficiale anche l’assessorato alla Sanità: «Le deliberazioni assunte dalla Giunta regionale hanno la finalità di assicurare la continuità delle prestazioni domiciliari indipendentemente dalla formale classificazione della spesa, che peraltro è costantemente monitorata dai Ministeri della Salute e dell’Economia e Finanze. Il bilancio 2014, approvato dal Consiglio regionale a fine gennaio, ha confermato le risorse necessarie, annuali e pluriennali, per garantire tali servizi di assistenza domiciliare. Per quanto riguarda i ricorsi al Tar di alcuni Comuni ed enti gestori, si rileva che il contenzioso amministrativo non risolve le questioni sostanziali circa l’individuazione dei Lea, che peraltro sono in fase di aggiornamento nell’ambito del Patto per la Salute in via di definizione tra Stato e Regioni».

Leggi qui la lettera dell’Assessorato

[Fonte: Lospiffero.com]

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Regione Piemonte – Sanità: Il M5S. Difendiamo la sanità pubblica!

Il grillino Bono chiude la porta ai privati: “Non possono gestire servizi essenziali come i pronto soccorso. No al modello lombardo”. E sul Gradenigo: “La politica poteva fare di più”. Il rilancio del settore passa dall’informatizzazione.

Sarà il Movimento 5 stelle l’unico baluardo a difesa della Sanità pubblica nella prossima legislatura regionale? Dopo l’apertura (attesa) del centrodestra e quella, decisamente meno scontata, del centrosinistra all’ingresso di aziende private nel sistema sanitario regionale, è il grillino Davide Bono a piazzare i suoi paletti: «Intendiamoci – premette il candidato presidente – i privati già agiscono in questo settore da anni, ma un conto è se gestiscono una casa di riposo o di riabilitazione, altro è se si occupano di servizi essenziali come un pronto soccorso».

Il riferimento è all’acquisizione del Gradenigo da parte di Humanitas, il colosso lombardo pronto a rilevare l’ospedale dalla Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli, un acquisto condizionato dalla variazione della norma regionale del 1985 che impedisce a un ente profit di ottenere lo status di presidio ospedaliero pubblico. «Aprire le porte a Humanitas significherebbe virare verso un sistema sanitario lombardo» afferma Bono. «Su questa inversione di rotta destra e sinistra la pensano allo stesso modo, noi invece intendiamo preservare la vocazione pubblica della sanità piemontese». E sul Gradenigo attacca: «La verità è che sarebbe bastato un piccolo sforzo in più della politica per non farlo andare gambe all’aria». C’è poi anche un problema di contratti: «Nella casa di cura Villa Cristina, nel Novarese, per esempio, tutti gli operatori stanno passando dal contratto collettivo nazionale a un contratto di cooperativa e noi non ci stiamo alla teoria secondo la quale la competitività aziendale si ottiene attraverso l’abbattimento dei salari».

Su come rilanciare e rendere più efficiente la Sanità piemontese la compagine pentastellata, come ormai noto, punta sull’informatizzazione del sistema – «potremmo farcela in pochi mesi» – e su un controllo delle visite specialistiche, ma tutelando i medici di famiglia «che spesso si trovano tra l’incudine e il martello di fronte a un paziente che chiede insistentemente un esame e loro impossibilitati di fatto a dire di no». Una cosa è certa, conclude Bono «il risanamento della società non può passare dalla chiusura degli ospedali o dal licenziamento dei lavoratori».

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Gradenigo, testa d’ariete per i privati

Scelta civica prenota la Sanità

Sanità, nessun pregiudizio sui privati

 

[Fonte: Lospiffero.com]

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